Finchè
ero solo uno spettatore lontano e distratto al cospetto dell'opera finita dei
giardini, ritenevo i giardinieri persone dall'animo particolarmente poetico e
delicato, che coltivano i profumi dei fiori, ascoltando il canto degli uccelli.
Da lungo tempo guardo la faccenda più da vicino e trovo che il giardiniere non
è una persona che coltiva i fiori;
è un uomo/donna che coltiva il terreno. E' una creatura che sprofonda nella
terra e lascia vedere ad altri, fannulloni ficcanaso, solo quello che sta in alto.
Il giardiniere vive immerso nella terra.
Costruisce
il proprio monumento con un mucchio di compost.
Il giardiniere, solitamente, termina con il sedere; le gambe e le braccia le
tiene allargate, la testa da qualche parte tra le ginocchia, simile a una
giumenta che pascoli. Non è un uomo che vorrebbe aggiungere solo una spanna
alla propria statura; al contrario piega la propria statura a metà, si
accovaccia e si accorcia in tutti i modi possibili; quando lo vedete, raramente
misura più di un metro di altezza. La coltivazione del terreno consiste da un
lato nelle varie attività di vangare, zappettare, rivoltare, sotterrare,
smuovere, livellare, lisciare e ondulare, dall'altro nell'aggiunta di
ingredienti.
La
felicità del giardiniere affonda le sue radici più profondamente,
fin nel grembo dell'humus.
A
primavera i giardinieri sono ormai irresistibilmente attratti dai propri
giardini; non appena appoggiano il cucchiaio, già sono nelle proprie aiuole,
con il sedere alzato verso il favoloso azzurro; qui frantumano tra le dita il
tiepido grumo di terra, lì ficcano più vicino alle radici un pezzetto aerato e
prezioso del concime dell'anno precedente, qua strappano un'erbaccia e
là raccolgono un sassolino; ora ravvivano la terra attorno alle fragole ed
un attimo dopo si chinano sulle piantine d'insalata, naso a terra,
solleticando amorosamente il fragile fascio di radici.
In questo atteggiamento si godono la primavera,
mentre al di sopra dei loro reni il sole descrive il suo glorioso cerchio,
le nuvole galleggiano ed i volatili celesti si accoppiano.
Ormai
si aprono i boccioli dei ciliegi, il novello fogliame cresce con leggiadra
esilità, i merli cantori cinguettano allegri; allora il vero giardiniere si
raddrizza, inarca la schiena e afferma meditabondo: "In autunno concimerò
in abbondanza ed aggiungerò un pizzico di sabbia".
Ma vi è un momento in cui il giardiniere si drizza e si erge in tutta la sua
stature; è l'ora del tardo pomeriggio in cui somministra al suo giardino la
santa annaffiatura. Quindi sta in piedi, diritto e quasi elevato, dirigendo il
getto d'acqua dal beccuccio dell'idrante; l'acqua scroscia in una piogerella
argentina e sonora; dalla terra soffice spira un respiro di umidità, ogni
foglia è di un verde intenso e scintilla di appetitosa felicità tanto che si
mangerebbe.
"Così
adesso ne ho abbastanza" sussurra il giardiniere beatamente; con ciò non
pensa al ciliegio spumeggiante di boccioli, nè al purpureo ribes nero; si
riferisce al terriccio marrone. E quando tramonta il sole, afferma con somma
soddisfazione: "Oggi ho sgobbato !" Ciò che il giardiniere vuole
appassionatamente ed incessantemente, va da sè:
ammirare
ciò che lo circonda, essere operoso nel suo giardino, lavorare ed esultare,
concimare e sarchiare, potare e guidare, asciugarsi il sudore, inarcare la
schiena, andare a letto con la vanga ed alzarsi con l'addolola, glorificare il
sole e la pioggerella del cielo, tastare i germogli,
coltivare i calli e le prime vesciche primaverili, e in assoluto
vivere
nel giardino abbontamente, in ogni stagione, ariosamente.
L'anno del giardiniere, Karel Capek
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